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La vita di Floriano Gheno è permeata,
fin dalla nascita nel 1940, dal legame con il paese d'origine
ove tuttora risiede e lavora: Nove, in provincia di Vicenza.
In quel ridente paesello, un paese giovane che in pochi secoli
ha segnato il proprio nome nella storia ceramica italiana
ed europea, respira l'aria di rinnovamento del Dopoguerra.
L'ottocentesca "Regia Scuola d'Arte per La Ceramica"
aveva permesso un fermento culturale ed artistico altrimenti
difficile in un piccolo paese di provincia. Ebbene Gheno ha
avuto l'opportunità di frequentare la locale scuola
d'arte in un periodo di rinnovamento i cui esiti hanno dato
una spinta a diversi ceramisti. Può quindi confrontarsi
con maestri dell'arte ceramica quali i professori Andrea Parini
e Giovanni Petucco e, successivamente, Pompeo Pianezzola ed
Alessio Tasca. Dai primi ha trattenuto l'attenzione allo sviluppare
e curare una tecnica volta a dare un metodo, dai secondi il
nuovo metodo di insegnamento volto a mettere in luce una certa
libertà interpretativa. Il suo corso di studi viene
perfezionato presso L'Istituto d'Arte di Velletri (Roma),
dove la predilezione del tornio rispetto all'uso di stampi
in gesso gli fa comprendere meglio anche alcuni aspetti legati
alla tradizione artigianale. Intraprende l'attività
di ceramista conducendo l'apprendistato preso l'azienda del
prof. Petucco, in cui rimane fino al 1970, proponendosi quindi
come consulente per diverse aziende ceramiche vicentine. L'insegnamento
e la figura di Petucco sono rimaste a lungo un punto di riferimento
per intere generazioni di ceramisti novesi. Ottiene poi la
cattedra come docente d'Arte, dapprima per la formatura poi
per la decorazione ceramica presso l'Istituto Statale d'Arte
"G. De Fabris", attività che ha mantenuto
fino al 1998, rimanendo poi uno dei collaboratori esterni
più attivi. Ha vinto numerosi premi nel corso della
sua carriera e sue opere figurano presso collezioni museali
in tutto il mondo.
La passione per l'arte si è tradotta anche in una continua
ricerca sul piano della pittura che fin dagli anni settanta
ha tradotto in segni astratti e carichi di colore.
Nel percorso parallelo che accompagna sia la produzione pittorica
che quella ceramica, si colgono alcuni elementi ricorrenti
che sono stati affrontati e sviluppati in infinite varianti.
L'insegnamento ed il quotidiano contatto con i ragazzi dell'Istituto
d'Arte ha contribuito a mantenere viva l'attenzione ed a cogliere
spunti interessanti per idee successivamente rielaborate.
Già dalla metà degli anni ottanta Gheno intuisce
che l'uso di pennellesse larghe, poco utilizzate in campo
ceramico, può essere indagato in maniera più
esaustiva. Un concetto che i cui orizzonti tutt'oggi vengono
allargati, e che già nel 1990 gli consentono di venire
ammesso al premio Faenza. Anche l'uso di fori e tagli, ben
noti grazie ai lavori concettuali di Fontana o a quelli più
incisivi di Leoncillo, entrano ben presto a far parte del
repertorio decorativo di Gheno. Abbinamenti di forme geometriche
il cui significato originario non è scritto e che vengono
lasciati alla libera interpretazione del singolo.
Ma non si tratta solo di forme geometriche. Col tempo queste
diventano simboli, diventano figura armoniose e dai colori
più tenui, spesso sostenute da uno smalto opaco che
ne attenuano l'impatto visivo. Sono tutti piccoli accorgimenti
tecnici dettati dal volersi mettere alla prova, dal continuo
ricercare una personale risposta al richiamo della materia
ceramica. I modelli che fanno da supporto alla decorazione,
le cui dimensioni sono cresciute negli anni, da piatti e ciotole
sono divenuti grandi scudi ed ampi vasi. Non semplici virtuosismi
tecnici, né mero decorativismo, ma una scelta ponderata
alla luce di un'esperienza maturata negli anni.
Con un'attività pluridecennale alle spalle, Floriano
Gheno non ha smette di sperimentare. Gli ultimi esiti della
sua ricerca lo hanno portato a recuperare in parte l'uso di
piccoli pennelli e spugnette per definire con un cromatismo
chiaroscurale le sinuose forme ch'egli intreccia sulle superfici
di dei grandi piatti, delle sfere e dei grandi scudi che gli
fanno da supporto. Un'ulteriore arricchimento è dato
dall'inserimento di elementi plastici che richiamano l'arte
precolombiana o comunque il grafismo delle popolazioni primitive.Non
è un omaggio alla genuina sinteticità di esotiche
forme, ma una reintepretazione rispettosa dello spirito colto
in quelle figure. Armonie che si ripetono grazie ad un lavoro
che sfrutta il cambiamento dei colori in fase di cottura per
ottenere sfumature e tonalità inconsuete. Ancora una
volta geometrie che sintetizzano emozioni e che, nell'irregolare
regolarità dei movimenti cangianti del pennello, trovano
una via d'uscita concreta dal mero decoro post-industriale.
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